Nelle mie tavole, i disegni dei deportati. Intervista a Giulia Spanghero


Nelle mie tavole, i disegni dei deportati. Intervista a Giulia Spanghero

gen 14, 2015

Disegna da sempre, ma ha cominciato la sua carriera alle scuole medie illustrando un libro per l’orientamento e pochi anni dopo un metodo di musica per bambini. Ha lavorato come sceneggiatrice per la Disney, come designer di giocattoli alla Trudi, come illustratrice per il Corriere della Sera. Ora Giulia Spanghero torna ai libri e al pubblico dei più piccoli, firmando le tavole di Auschwitz, una storia di vento. Ma questa volta immagina e disegna per un supporto diverso: non la carta, ma lo schermo del tablet.

«E non è l’unica novità. Rispetto al mio stile e al mio tratto abituali le illustrazioni di Auschwitz, una storia di vento sono un lavoro assolutamente sui generis. Un po’ perché, diversamente dal solito, in questo caso ho trovato ‘tutto pronto’, nel senso che Franco (Grego, lautore ndr) aveva già preparato testo e storyboard e aveva un’idea precisa del prodotto finale. Ma soprattutto perché le illustrazioni sono ispirate alle testimonianze grafiche che la storia ci ha lasciato sulla realtà del lager: i disegni dei deportati nei campi di concentramento. In particolare ci siamo ispirati agli schizzi dell’artista francese David Olère e ai disegni di Helga Weissowa, una ragazzina di Praga internata a Terezín all’età di tredici anni. Sono disegni a carbone fatti su pezzi di carta rimediati, tavole grezze, e abbiamo deciso di mantenere, suggerire, questa caratteristica anche nelle illustrazioni del libro. Oltre a queste testimonianze, ho cercato anche immagini e foto d’epoca per documentarmi sull’abbigliamento, gli oggetti, i luoghi. Tutto quello che compare nelle illustrazioni ha un riferimento storico».

Raccontare un tema come la Shoah a un pubblico di bambini non è banale, soprattutto per quanto riguarda le illustrazioni che hanno un impatto così immediato sul lettore. Come ti sei posta rispetto a questo?
«Era chiaro fin dall’inizio che la storia era dura e difficile da raccontare, soprattutto a dei bambini. Ma questa consapevolezza stava a monte del progetto e Franco aveva le idee molto chiare sull’atmosfera che le illustrazioni avrebbero dovuto comunicare. Io, personalmente, non sono mai stata d’accordo con l’ottica di eliminare dai prodotti per bambini i riferimenti agli aspetti crudi, tragici della vita. Si tratta piuttosto di tradurli, anche visivamente, con un linguaggio comprensibile. E poi i piccoli sono esposti ogni giorno alla crudezza dei programmi televisivi e di Internet, a volte senza alcun filtro. Sta al genitore o all’educatore scegliere, spiegare e cercare di rendere tutto meno traumatico».

È la prima volta che illustri una app, un libro digitale. È molto diverso rispetto al lavoro su carta?
«No, all’inizio il procedimento è simile. Si parte comunque da una serie di matite, di bozze. Per arrivare alle illustrazioni finali ho lavorato sia in maniera tradizionale, con colori e pennelli, sia con strumenti digitali, utilizzando la tavoletta grafica e disegnando direttamente su computer. Ma dovevo tenere conto che ogni tavola avrebbe avuto delle aree attive con cui il lettore può interagire e ho dovuto preparare le illustrazioni in modo che gli sviluppatori potessero realizzare animazioni e interattività».

Secondo te, quali sono i vantaggi e gli svantaggi del digitale per raccontare una storia come questa?
«Io sono cresciuta con i libri: non c’è niente da fare, sento la mancanza dell’oggetto fisico, della carta. Ma se penso ai ragazzi e ai bambini, anche molto piccoli, di oggi e alla familiarità che hanno con la tecnologia, è evidente che una  app come questa risponde alle loro esigenze, è innovativa e al passo coi tempi. Per certi versi è addirittura più accessibile e può raggiungere più facilmente chi non ha l’abitudine alla lettura o una grande biblioteca a disposizione».

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